Collettivo del Ponente Ligure
La vicenda della diga sul
torrente Argentina, come se non fosse già abbastanza, non è solo una questione
che minaccia la sicurezza e la serenità della vita delle popolazioni della
vallata, non è solo un pericolo per il valore ambientale del territorio, non è
solo un rischio per gli ecosistemi dell’habitat.
E’ anche e soprattutto
un’operazione economico-finanziaria imperniata sulla considerazione dell’acqua
come merce, dalla quale trarre profitto, sullo sfruttamento del suolo, dal
quale estrarre valore economico, sulla
sovra-produzione di energia da una risorsa naturale, l’acqua, sempre più a
disponibilità limitata.
In quest’ottica, con il
commissariamento dell’Ambito Territoriale Ottimale, l’organo di governo del
servizio idrico imperiese, sono state avviate scelte in questi ultimi anni per
l’effetto di deleghe straordinarie, che stanno determinando il futuro delle
nostre comunità.
Così, per non perdere il treno
delle risorse, a debito, del Pnrr, viene riesumato un progetto per la
costruzione della diga di Glori, già abbandonato in passato per la dimostrata
ed effettiva pericolosità oltre che per la preoccupazione della popolazione.
Non a caso viene coinvolta per l’attuazione del Progetto di Fattibilità Tecnica
Economica, Rivieracqua, trasformata dai sindaci in Società per azioni e in
procinto di rimettere in discussione l’affidamento pubblico del servizio
idrico, a favore di un socio privato. Una decisione che tradisce l’esito del
Referendum 2011.
Il piano si completa con la
realizzazione di una centrale idroelettrica, nella piana di Taggia, il vero
scopo delle opere, per finire di prosciugare l’Argentina, che fin dai tempi
lontani, è stato il riferimento per tutte le attività delle comunità nella
valle.
Non possono essere queste le
soluzioni urgenti alla siccità e alla crisi ecoclimatica, che non sono
incidenti casuali, ma aggravate dall’incidenza delle attività umane, per
l’aumento dei gas serra e per le politiche di mercato che hanno contribuito a
determinare il disastro attuale.
Le risorse idriche disponibili
sono ancora sufficienti ad assicurare l’approvvigionamento idro-potabile, purché
ci sia un ripensamento sulle dighe, sulla cementificazione degli alvei, per non
sottrarre acqua ai fiumi e alla ricarica delle falde.
Lo sanno le molte associazioni e
realtà del ponente -anche se diverse tra loro- che hanno saputo interrogarsi,
approfondire e costruire un fronte comune a difesa del territorio e per
indicare percorsi alternativi lungimiranti, rivolgendosi ai Ministeri e a tutte
le Autorità competenti.
Chiedono di ripartire dall’idea
di acqua bene comune e dalla realizzazione di nuove reti, che oggi
registrano 20 milioni di metri cubi di perdite annue, quattro volte la capacità
dell’invaso ipotizzato. Per fronteggiare le crisi idriche basterebbe già
ridurre le dispersioni, che in provincia di Imperia si attestano al 44%, contro
una media europea del 15-18%.
Chiedono interventi per la
salvaguardia delle falde, lo sfruttamento delle sorgenti inutilizzate, il recupero delle acque reflue depurate, la
realizzazione di pozzi di ricarica, laddove gli alvei lo consentano, con costi
di molto inferiori ai 55 milioni di euro per le opere della diga.
Chiedono le comunità energetiche,
per produrre energia pulita, democratica e diffusa. L’idroelettrico non è
verde, è ampiamente riconosciuto che esiste un chiaro conflitto in relazione
agli impatti ambientali negativi a scala locale, in particolare sugli
ecosistemi acquatici e per l’emissione di gas climalteranti (25% di metano in
più per unità di superficie).
In attesa di conoscere quali
giocatori siederanno al tavolo del grande “Monopoly” convocato dal commissario
Scajola, per contendersi terreni, la società elettrica o dell’acqua potabile,
si rassegnino i mercanti di beni comuni, per le comunità del ponente le
vite e il territorio valgono più di qualunque profitto!